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Casale di Ciurcitano |
La comunita' monastica delle Clarisse di Terlizzi, la cui erezione canonica fu sancita con atto notarile del 15 settembre 1673 e tra i cui fondatori sono da annoverare il canonico Giovanni Matteo da Gravina e il nobile spagnolo Hermanno Escobar, era alla fine del 1600 piuttosto numerosa e costituita, oltre che dalla badessa, da ventidue coriste, due educande e sette converse. All'avvio dell'espansione urbanistica primo settecentesca, fu il primo soggetto interessato ad abbandonare la città vecchia, dove era alloggiato l'originario edificio monastico, per realizzare un nuovo e più funzionale complesso fuori le mura, in Borgo. Tale progetto comportava l'abbattimento di una chiesetta votiva dedicata a S. Rocco e dell'antico ospedale gestito dalla confraternita del Monte di Pietà. A coordinare le operazioni di intervento con gli enti ecclesiastici interessati, il capitolo e la confraternita, fu Gaetano Giacinto Chiurlia vescovo di Giovinazzo (1693- 1730), a Terlizzi l'11 maggio 1708. Tra il 1709 e il 1713 furono acquistati un palmento ed una sufficiente quota di terreno dagli Scalera (tra la chiesetta di S. Lucia e e il giardino dei Confreda) e permutati l'antistante ospedale e annessa chiesa di S. Rocco con il vecchio monastero nell'antica civitas. Sebbene già nel 1711 il nuovo monastero era già in buono stato costruttivo, occorsero altri due anni per le rifiniture e i preparativi per il trasloco, effettuato il 29 maggio 1713. Ne occorsero ancora una decina, tra evidenti difficoltà economiche della comunità, per completare e rendere agibile l'annessa chiesa, cosiddetta delle monache, dedicata a S. Anna, appartenuta alle clarisse sino al 1866 e oggi chiesa di S. Gioacchino
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Citato per la prima volta nelle pergamene dell’Archivio Diocesano di Terlizzi appena qualche decennio dopo il Mille’, il locus o casale di Ciurcitano lega la sua storia a quella di Sovereto. Nel 1244 la ecclesia Sancte Marie de Circitano viene conferita, con tutte le sue pertinenze o proprietà fondiarie in dominio dell’ospedale di S. Gio-vanni di Barletta, e quindi della precettoria di Sovereto, retta appunto dai fratres hospitalarii dell’Ordine cavalleresco di S. Giovanni di Gerusalemme, detti più tardi «cavalieri di Malta». All’interno della chiesetta era venerata un’icona rappresentante la Theotòkos, databile alla metà del secolo XIII, oggi conservata presso la Pinacoteca Provinciale di Bari.
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Casino del Carmine |
Casina di Genga |
Per la sua particolare architettura ed i materiali impiegati è databile agli inizi del XVIII secolo. La vetusta struttura produttiva, caratterizzata da una possente torre vedetta difensiva, un tempo dislocata anche a difesa del territorio bitontino, di pianta quadrangolare, alta circa 6 metri, a due piani, presenta un paramento murario costituito dai classici tozzi conci calcarei appena sbozzati a martelletto e posti in opera secondo la tradizionale tecnica delle “pietre a secco”. addossati alla torre vi sono vari ambienti destinati probabilmente a stalle, magazzini, resti di un “palmento” con cisterna, ed una piccola chiesetta. Quest’ultima, voltata a botte con altare in pietra, un tempo era abbellita dallo stemma araldico dei carmelitani (scudo incoronato sul quale è stilizzato il Monte Carmelo con alla base le tre stelle che simboleggiano Maria, Elia ed Eliseo, sormontato dalla croce di Gerusalemme), posto in asse sull’architrave d’ingresso, purtroppo ormai scomparso sottratto dai soliti ignoti. L’antico casino, grancia della chiesa di S. Maria del Carmelo (sec. XVI) ubicata fuori le mura bitontine presso la “Porta della Lama maggiore”, apparteneva all’ordine dei “Carmelitani”, giunti a Bitonto a seguito di frate carmelitano Giovanni da Napoli, professore di sacra teologia.
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La Casina Lama di Genga, nota anche come Villa Lamparelli, si trova nell’agro di Bitonto, al confine con l’agro di Terlizzi a pochi chilometri di distanza dalla frazione di Mariotto. L’area ove sorge la costruzione in oggetto è a carattere esclusivamente agricolo, ricca prevalentemente di uliveti, ma anche agrumeti e mandorleti. La costruzione del complesso rustico fu avviata nel 1885 dal sig. Giuseppe Lamparelli, nipote del nobile Cav. Dott. Michele Lamparelli, originario di Terlizzi che, a partire dal 1808, fu medico della Regina Carolina Annunziata alla corte del re Gioacchino Murat. Giuseppe Lamparelli ereditò la proprietà ad un anno dalla morte del progenitore Dott. Michele Lamparelli, e di tale episodio vi è a testimonianza una iscrizione lapidea che ne ricorda la cessione. La proprietà rimane della famiglia Lamparelli fino al 1925, anno in cui vi è il passaggio per eredità alla famiglia Mininni che riceve, assieme alla villa e agli uliveti, mandorleti e frutteti, anche una “cisterna” annessa alla struttura residenziale. La costruzione è riconducibile alla tipologia di residenze rurali fortificate, ampiamente testimoniate in tutto il territorio pugliese; di tali fortificazioni sono chiari esempi la garitta difensiva nell’angolo Nord Est e le feritoie lungo i parapetti dei prospetti Nord e Sud. Inoltre l’edificio in oggetto è arricchito da una importante testimonianza della produzione vinicola locale, il cosiddetto palmento, purtroppo oggi non più esistente, che era ubicato nelle immediate vicinanze della costruzione. La casina è circondata su ogni lato dalle colture di olivi e, a Ovest, da un piccolo frutteto. Il prospetto principale rivolto a Nord, che guarda direttamente alla stradina di accesso, è costituito da due accessi principali. Il grande portone centrale, che introduce al piano nobile, è realizzato in metallo ed è caratterizzato dalle incisioni delle iniziali che riconducono ai proprietari storici del fondo. La porta è inquadrata da stipiti ed architrave in pietra ed è sormontata da una cornice modanata, anch’essa in pietra. Ai lati del portone vi sono due grandi finestre, dalle proporzioni e caratteristiche riconducibili a quelle dell’ingresso, aventi anch’esse stipiti ed architrave in pietra, cornice modanata di coronamento ed impostate su un marca davanzale che gira lungo tutte i prospetti della villa. A concludere il prospetto vi è una cornice scandita da feritoie, probabilmente previste per scopi difensivi e, nell’angolo Nord Est, una caratteristica garitta, leggermente aggettante rispetto ai fili dei prospetti Nord ed Est, e provvista anche questa di feritoie, che guarda verso il mare. Il prospetto Ovest presenta nella parte inferiore un ulteriore accesso ai locali seminterrati, e si affaccia sul piccolo frutteto adiacente. In passato, di fronte a tale prospetto vi era il palmento in pietra annesso alla struttura, già citata in precedenza ed adesso non più esistente, ma del quale rimane la cisterna sotterranea. Il prospetto Sud è caratterizzato dal terrazzino del piano nobile. Lungo tutto il perimetro del parapetto vi sono, a scansioni regolari, particolari anelli di pietra per l’installazione probabile di strutture leggere removibili in legno. Nel registro inferiore del medesimo prospetto è presente un altro accesso al seminterrato. Il piano seminterrato è caratterizzato da un ampio ambiente centrale, scandito da volte a crociera lungo tutto l’asse di sviluppo, ove vi erano le cisterne di raccolta del vino prodotto. Le stanze centrali si aprono sull’esterno, mentre le stanze lungo le fasce Sud e Nord sono caratterizzati da 12 botole quadrate, 6 su ogni lato, accuratamente sagomate in modo da accogliere un copri botola in pietra, mediante le quali si accede alle cisterne sottostanti atte alla conservazione del vino. Al livello seminterrato inferiore infatti, in corrispondenza di tali cisterne vi sono dei condotti che recano ancora oggi tracce in metallo per la trasfusione dei liquidi conservati. Infine, nella sala centrale del primo livello seminterrato vi sono le testimonianze degli elementi lignei di quello che era il grande torchio per la pestatura del mosto.
Il piano nobile si caratterizza per una semplice disposizione planimetrica che presenta due grandi sale centrali, voltate a crociera, attorno alle quali si sviluppano gli ambienti principali della villa. |