Palmento di Cela |
Lamia del Trave |
Il territorio rurale di Bitonto Giovinazzo e Terlizzi è caratterizzato dalla presenza diffusa degli antichi palmenti (palummeddi), testimonianza della diffusione in quest’area della coltura della vite nei secoli passati e dell’importanza che la produzione del vino aveva nell’economia locale, prima dei devastanti effetti “dell’epidemia” di fillossera. I palmenti sono strutture realizzate in pietra locale nelle immediate vicinanze del luogo di produzione, realizzati dal singolo proprietario o da gruppi di contadini laddove la proprietà terriera risultava molto frazionata. Sono costituiti da una grande vasca centrale in genere quadrata (tre metri per tre nella maggior parte dei casi, profonda circa 75 centimetri), da una cisterna sottostante per la raccolta del mosto, da un pozzo per l’acqua, da due pile in pietra e in alcuni casi da una furnacedda. L’uva veniva posta nella vasca e pigiata dai piedi degli addetti ai palmenti (i palmentari); il mosto prodotto da questa prima pigiatura confluiva nella cisterna sottostante tramite una apposita canalizzazione.
Successivamente le vinacce, ammassate nella vasca centrale, venivano sottoposte a torchiatura mediante la scrofola, uno spesso tavolone di quercia che veniva fatto scendere avvitandosi lungo una colonna, anch’essa in legno di quercia, alta circa due metri, dotata di filettatura e incassata in un foro ricavato al centro della vasca centrale del palmento; la torchiatura avveniva a mano spingendo la varra, una leva applicata su un lato della scrofola. Dopo la prima torchiatura, le vinacce venivano disfatte e rimescolate con una discreta quantità d’acqua riscaldata sulla vicina furnacedda; rivivificate le vinacce venivano poi sottoposte ad una nuova torchiatura. L’ultima operazione consisteva nella preparazione del colore, ossia nella bollitura di una porzione del mosto prodotto, in genere un decimo del totale, che permetteva, oltre ad una migliore conservazione del prodotto, anche di ottenere un colore più intenso. Il colore veniva poi mescolato al mosto raccoltosi nella cisterna sottostante la vasca centrale e solo dopo si poteva quartisciare, ossia attingere il mosto dalla cisterna con un recipiente detto appunto quartara; il mosto veniva quindi versato nelle pile per ricavare le giuste quantità da inviare, a dorso di mulo o di asino, alle cantine del paese. L’epoca di costruzione dei palmenti, come si ricava dalle date ancora leggibili sulle murature, varia tra il Cinquecento e l’inizio dell’Ottocento.La maggior parte dei palmenti disseminati nelle campagne sono scoperti, ma ne esistono alcuni, monumentali, coperti da volta in pietra poggiante su quattro pilastri, ed altri ancora inseriti in appositi locali adiacenti a case rurali (questi ultimi presentano il torchio incassato in uno dei muri perimetrali, nella medesima maniera di come si rinviene nei trappeti oleari). Nell’Ottocento compaiono i palmenti “alla moderna” (palummeddo alla muterna), caratterizzati dalla presenza di una torretta in muratura che ospitava il torchio. Particolarmente interessanti, ad esempio in Valle d’Itria, sono i palmenti ricavati all’interno di trulli, con la base e il pavimento del trullo stesso che assumono la funzione della vasca palmentaria. Oggi molti palmenti, come numerosissimi altri manufatti in pietra tipici della cultura contadina di questo territorio, versano in pessimo stato di conservazione: molti sono stati completamente cancellati dalle “operazioni di miglioramento fondiario”, altri sono stati oggetto di depredazione dei principali elementi in pietra, quali per esempio le pile, numerosi altri risentono dell’abbandono e della mancanza di opportune opere di manutenzione in grado di preservare quest’eccezionale patrimonio di segni della cultura di un territorio. |
Vetusta struttura di servizio situata lungo un antico tratturo che collega la Via Traiana al ramo occidentale della Lama Balice in località Del Trave, poco distante dall’omonima torre. Dalle caratteristiche architettoniche il manufatto può essere fatto risalire presumibilmente alla fine del XVII secolo. Di pianta quadrangolare, con il tipico tetto spiovente coperto dalle caratteristiche chiancarelle, elementi peculiri di questa tipoligia di edifici, presenta un tozzo e massiccio paramento murario costituito da conci calcarei ben sbozzati a martelletto. La facciata principale è caratterizzata dalla presenza di due piccoli ingressi i quali immettono in grandi ambienti destinati con ogni probabilità allo stoccaggio delle derrate.
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Neviera dei Cassandra |
Casale di S. Marco |
Anticamente, quando nevicava copiosamente, era consuetudine provvedere alla raccolta della neve ed al suo stoccaggio in certi depositi per la successiva produzione del ghiaccio. Già dal Rinascimento, in città nelle cantine di alcuni palazzi nobiliari ed in campagna dentro le masserie, erano presenti piccoli ambienti destinati a “ghiacciaie”. Sino a metà Ottocento, la raccolta e lo stoccaggio della neve entro le caratteristiche “neviere” era l’unico sistema per produrre il ghiaccio, il quale veniva impiegato per raffreddare le bevande delle famiglie più agiate e per la cura di febbri, ascessi e contusioni. La produzione del ghiaccio aveva inizio in campagna con la raccolta della neve, attività che impiegava decine di braccianti assunti dall’imprenditore tra i contadini della zona. Successivamente, tramite appositi attrezzi in legno detti “paravisi” veniva opportunamente battuta dagli “insaccaneve”, i quali calzavano sopra le scarpe dei sacchi di canapa legati all’altezza delle cosce per evitare durante il lavoro di sporcare il prodotto. Infine, il ghiaccio prodotto dalla compressione della neve veniva costipato all’interno della “neviera”. Quest’ultima, caratterizzata da una struttura quadrangolare in muratura e costruita con conci calcarei appena sbozzati a martelletto, voltata a botte su due metri circa d’altezza, era dotata di un apertura circolare posta sulla volta, dalla quale veniva effettuato il carico dell’impianto. Inoltre vi erano ricavate una o due porticine laterali utilizzate per prelevare il ghiaccio. All’interno profondo circa due metri, l’isolamento era garantito da uno spesso strato di foglie secche, mentre la copertura esterna veniva isolata tramite uno strato di paglia e terriccio. Sul fondo dell’impianto vi era un canale di scolo che permetteva all’acqua di defluire all’esterno e di non compromettere quindi il restante materiale. Tali accorgimenti garantivano la conservazione del ghiaccio per tutto il periodo estivo. Il congelato, tagliato a blocchi avvolti in sacchi di tela, veniva trasportato su carretti o a dorso di mulo durante le ore più fredde della notte, per essere collocato nei depositi delle città più vicine, dai quali venivano fornite le varie botteghe che lo rivendevano a prezzo calmierato. Nel tempo lo sviluppo del commercio del ghiaccio divenne talmente importante da far porre l’istituzione di una gabella sulla neve. Infatti, dal 1625 fu applicata un’imposta sulla neve che durò sino al 1870, e dal 1640 venne concesso l’appalto per l’approvvigionamento del ghiaccio ad un unico imprenditore. Nelle campagne del luogo, non molto lontano dalla città, esattamente sulla “via di Sotto”, in contrada “Casalicchio”, sorge la maestosa “neviera dei Cassandra”. Ricoperta in parte da rovi e costruita interamente in pietra locale, dall’aspetto e dimensione notevoli e con pianta quadrangolare, e pure voltata a botte, “Cassandra” è dotata di un ampia apertura circolare posta sulla copertura, dalla quale veniva effettuato il carico della neve, e di due porticine laterali attualmente tompagnate, dalle quali, tramite l’ausilio di una scala in legno, veniva effettuato lo scarico. Presumibilmente di età rinascimentale, apparteneva agli inizi del Settecento al “magnifico Gaetano Cassandra”, discendente dell’antica famiglia patrizia originaria di Palo del Colle, trasferitasi a Bitonto durante il XVII secolo, che secondo gli storici locali fece fortuna proprio con il commercio del ghiaccio.
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Nella contrada denominata “Casalicchio“, lungo l’antica via “Traiana”, strada che congiungeva Benevento a Brindisi, sorgeva immerso nella quiete delle campagne l’antico “Casale di San Marco”. L’antica struttura, posizionata sull’ansa ad Ovest del fiume “Tiflis”, sulla “via vicinale di Cela”, nella vicinanze dell’omonimo “Ponte di San Marco”, è composta da un grande complesso edilizio protetto da alte mura, caratterizzato da molteplici ambienti adibiti ad alloggi, stalle, magazzini, dotato di capiente cisterna e di piccola chiesetta dedicata a San Marco, dalla quale il casale trae il proprio nome. Probabilmente, dopo la costruzione della piccola chiesetta rurale, edificata nelle immediate vicinanze di un vetusto sepolcreto rinvenuto in zona nel 1820 durante la costruzione della nuova “Via di Palombaio”, intorno ad essa a partire dal X secolo, pian piano si sviluppò l’omonimo casale, caratterizzato dal tipico paramento murario costituito da conci calcarei rozzamente squadrati e posti in opera a corsi regolari sul quale si aprono varie finestre incorniciate da stipiti in pietra, unitamente ad un ampio ingresso arcuato sul quale vi è scolpita la data 1908. In antichi documenti quattrocenteschi ritroviamo già mensionata la chiesetta rurale di San Marco. In un ambiente destinato a stalla è stato individuato un sarcofago in tufo “carparo” giallastro risalente presumibilmente al V sec. A.C. impropriamente riutilizzato come abbeveratoio. Il manufatto potrebbe derivare dagli scavi effettuati nella zona, agli inizi degli anni ottanta, che hanno portato alla luce numerose tombe del tipo a “fossa ed a “sarcofago” contenenti vasellame di varie forme e dimensioni.
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