Casale Fons-Sylos |
Via Traiana |
Antico complesso villereccio suburbano, ubicato in aperta campagna, in agro bitontino, lungo l’antica “via della Marina", strada che congiungeva Bitonto con il proprio borgo marinaro di Santo Spirito, databile al XVII secolo, sorge nella zona attualmente denominata “Vado Francioso”. Di vaste dimensioni, caratterizzato presumibilmente da numerosi ambienti adibiti ad abitazione, servizi, depositi, stalle, cucine, dotato di capiente pescara, racchiuso tra alte mura, era varcato da un ampio e caratteristico vano carraio. Quest’ultimo, opera di Valentino dei Valentini, caratterizzato da due grandi colonne, abbellite da eleganti ornamenti architettonici, presentava in asse un grottesco mascherone (ormai scomparso), sul cui architrave è inciso: INTUS POMA VIRENT EXTRA FLORESCIT OLIVA UNDIQUE DELICIAS SPANDIT AMICA DOMUS FRANCISCUS ALPHONSUS SYLOS FIERI FECIT A.D. MDCLXXXII ("Nel recinto vi è ricchezza di pometi, all’esterno fioriscono gli ulivi. Le due delizie arricchiscono l’amica casa di Francesco Alfonso Sylos che fece erigere il 1682"). Il complesso, situato in posizione strategica, con ottima visibilità su tutto il territorio circostante, sempre in continuo contatto visivo con "Torre Tarine", “Torre di Brencola”, “Torre Rotta la Capa”, “Torricella”, “Torre Santo Spirito”, ecc, apparteneva alla nobile famiglia bitontina dei “Sylos”. Questo nobile casato, originario della Spagna (Burgos), si trasferì in Italia nel 1503. Attualmente il portale, separato dal resto del complesso di recente restaurato ed adattato a “Centro Studi CEE”, versa in pessime condizioni e rischia di sparire a seguito dei numerosi atti vandalici operati in zona dai soliti ignoti.
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La via Traiana è un’antica, classica strada romana aperta nel II sec. d.C. Essa trae (e verbo più appropriato non esiste…) il suo nome dall’imperatore Traiano, il quale, per agevolare le comunicazioni con l’Oriente, rese carrozzabile un antico tratto viario alternativo all’Appia antica che univa Benevento a Brindisi. Rispetto alla ben più nota consolare Appia, quel nuovo tracciato consentiva appunto di raggiungere Brindisi con maggiore facilità solo per il fatto che abbreviava il tratto montagnoso dell’appennino dauno sfruttando la comoda percorribilità del Tavoliere e perciò della pianura costiera. La strada fu inaugurata nel 113 d.C. con tanto di celebrazione in quel di Benevento, dove il tracciato aveva origine, nonché di costruzione di un arco trionfale, che ancor oggi è visibile in città. Da Benevento la strada scendeva verso Aecae (Troia) e attraversava il Tavoliere fino ad Herdonia(Ordona); di qui, superato l’Ofanto con un imponente ponte a cinque arcate, raggiungeva Canusium (Canosa di Puglia). Attraversato il centro canosino, la strada proseguiva poi verso Rubi(Ruvo di Puglia), e correndo ad est dell’abitato puntava in direzione di Modugno fino a Caeliae(Ceglie del Campo), poi per Norba (Conversano) e Monopoli. Da Rubi una variante litoranea raggiungeva Barium (Bari) non senza aver toccato Butuntum (Bitonto); in entrambi i casi il tracciato procedeva poi, vicinissimo alla costa, fino ad Egnathia, grande sito archeologico tuttora attivo. La strada toccava poi Ostuni e Carovigno, giungendo infine a Brundisium (Brindisi). Un prolungamento più tardo, denominato “Via Traiana Calabra” (Calabria era detta, in epoca romana, la parte meridionale della Puglia), collegò Brindisi alla città di Hydruntum (Otranto), passando per Valesium e per Lupiae (Lecce). Lungo il percorso la strada attraversava, oltre ai centri citati, una serie di stazioni di posta dette stationes, ovvero luoghi di sosta che potevano essere attrezzati al pernottamento dei viaggiatori e per la custodia di carri e cavalli (mansiones), o invero predisposti solo per il cambio dei cavalli e per brevi stanziamenti (mutationes). Bitonto, posta a 121 miglia da Benevento, a 11 da Ruvo e a 13 da Bari, funge negli itinerari più antichi come mansio, e soltanto nel tardo periodo paleocristiano (“Burdingalese”) è ridotta a mutatio. Le autorità e le giurisdizioni romane tenevano molto alla manutenzione della strada in generale, e solo in epoca cristiana furono elevate lungo il percorso vaste necropoli. La più antica descrizione della via Traiana fu realizzata dall’Abate dello Jacono, grazie alla quale nel 1741 Francesco Maria Pratilli poté pubblicare la sua opera intitolata Della Via Traiana riconosciuta e documentata da Roma a Brindisi. In tempi successivi la strada subì importanti restauri, mantenendo la sua importanza strategica anche sotto i Goti, i Bizantini, i Longobardi e infine i Saraceni. Purtroppo, in più di un territorio, anche diverso da quello bitontino, oggi residuano solo misere testimonianze di questa importantissima arteria stradale, che funzionava da fondamentale punto di raccordo tra Butuntum e le città dell'Apulia. Le “basole” ad esempio, che costituivano l’impianto stradale rurale, un tempo presenti in località “Vico”, cittadina sede di una vasta necropoli d’età preclassica-romana dalla quale provengono i numerosi reperti attualmente conservati nei musei archeologici di Bari, Taranto e Jatta di Ruvo, sono ormai scomparse, e solo sporadicamente sono rimaste alcune colonne “miliari”. Queste ultime poi, costituite da cippi litici di forma cilindrica, riportavano incise le miglia percorse a partire da Benevento, unitamente all’epigrafe: "L’Imperatore Nerva Traiano, figlio di Nerva, Germanico, Dacico, Pontefie Massimo, al XIII anno di Tribunato, VI di Imperatore, V di Consolato, Padre della Patria, fece la strada che da Benevento porta a Brindisi con il suo denaro". Di queste steli numerate, tra Ruvo e Bitonto ne erano collocate ben undici, e 10 fra Bitonto e Bari. Durante il Medioevo questi grandi blocchi calcarei vennero in parte divelti e trasferiti presso i vicini centri costieri, reimpiegati presumibilmente per la costruzione delle strutture portuali. Nel fornice d’ingresso al centro antico di Giovinazzo per esempio sono inglobate due colonne miliari, probabilmente rimosse dal tratto Ruvo-Bitonto. Attualmente nel territorio bitontino ne residuano soltanto due, dislocate rispettivamente una nelle immediate vicinanze del primo ingresso del Cimitero, e l’altra posta nei pressi dell’antica “Taberna di Gerardo”, un tempo probabile mutatio. Quest’ultima colona miliare, priva di epigrafe, situata a margine della carreggiata, ora profondamente interrata, viene costantemente e seriamente danneggiata dal frequente passaggio di mezzi agricoli ed industriali. Perché non dotare queste superstiti colonne miliari, simbolo della grandezza dell’antica via Traiana, di appositi pannelli identificativo-descrittivi, in modo da preservarle e tutelarle nel tempo?
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Lama Balice |
Lama di Macina |
Come tutte le lame, anche LAMA BALICE , grazie alla antica presenza del torrente Tiflis oramai prosciugato,
è sede di cavità carsiche naturali che nell’ antichità hanno consentito l’insediamento umano. Questo risale all’antico neolitico, ma le costruzioni presenti risalgono all’epoca romana in quanto la suddetta lama è nelle vicinanze della via Traiana. Le attuali testimonianze architettoniche sono le molte chiesette che si incontrano passeggiando nelle vicinanze della lama. Altre costruzioni a secco tipiche della zona sono i pagliai e le lamie. I primi sono a base rotonda; le lamie sono a base rettangolare o quadrata e hanno una copertura con lastre di pietra o tegole di terracotta. |
Varie sono le teorie avanzate dagli studiosi, per spiegare correttamente la denominazione della Lama di Macina. Il calcare di tipo dolomitico dell'agro bitontino, per caratteristiche di resistenza all'usura e di compattezza, in passato, veniva utilizzato per la fabbricazione delle macine dei frantoi, dopo essere stato opportunamente tagliato e squadrato in blocchi o lastroni. La Lama di Macina si estende da Bitonto sino alla Murgia di Ruvo, scendendo all'agro barese in località Fesca; il suo tenitorio era attraversato da un torrente denominato Tiflis, il cui alveo ora è disseccato; in età preistorica, era più largo di quello odierno e sicuramente navigabile, come dimostra la presenza di alcuni anelli di attracco per imbarcazioni. Il torrente è noto col nome di "Mena" secondo la popolazione «majne» vocabolo di derivazione italo-greca, traducibile in «donna furente». Spesso, infatti, durante le piene, il corso d'acqua travolgeva rovinosamente tutto ciò che incontrava sul suo cammino: terreno, ciottolame, vegetazione. Il torrente nasceva a quota 340 metri, in una zona dove la gente del posto la chiama "lama delle carve ", a causa della fioritura spontanea dei carvi, tipici fiori di campagna, abbondanti in luoghi a clima caldo. In passato, il torrente, dopo aver attraversato il bosco Loiacono, giungeva nella località detta "Casine d'Inde " dove si trovano i resti del castello medioevale di S. Demetrio (Palombaio). Era alimentato, oltre che dal bacino di raccolta del corso superiore, anche da altri affluenti che convogliavano acqua e detriti nel corso principale che scorreva poi lambendo, a sud, l'abitato di Bitonto lungo le contrade "Pescara del corvo", dette di "Chiancarello ", e a sud-est, lungo la zona detta "Antica del Burrone", tratto questo che si articola in una serie di antri spaziosi e di grotte.
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